Abbiamo incontrato per una chiacchierata lo chef Ezio Gritti, anche quest’anno in giuria tecnica per la seconda edizione de Il Palio dell’Agnolotto.
Con qualche domanda ci ha aiutato a comprendere non solo la sua cucina, ma anche il suo legame con essa: ci ha parlato del suo rapporto con la tradizione gastronomica locale e con l’innovazione.
Le sue aspettative per questa seconda edizione sono alte, lo chef ritiene infatti che solo attraverso la cultura e la valorizzazione della tradizione si può ridare alla gastronomia l’importanza che merita.
Dopo un’intensa ed entusiasmante esperienza oltre confine, alla guida del Solata Restaurant sull’isola di Bali, rientra in Italia e torna a stupirci con piatti in cui le tradizioni locali sposano il suo tocco sofisticato, nel nuovo Ristorante Ezio Gritti di Bergamo.
- Ci racconti il suo rapporto con la cucina del territorio dell’Oltrepò
Si tratta di un rapporto basato sul concetto di “cucina a chilometro buono”.
Mi piace parlare di chilometro buono piuttosto che di chilometro zero perché credo che il nostro territorio si differenzi molto da una zona all’altra e di conseguenza anche i prodotti disponibili sono diversi.
Io sono legato a doppio filo a tutte le cose buone, sono legato alla qualità delle materie prime al di là della latitudine e della longitudine. Se cerco una buona zucca la vado a prendere a Mantova o a Napoli, se cerco i carciofi migliori vado ad Albenga o in Sardegna.
In Oltrepò scelgo la salama o il salame stagionato, i tortellini. La cucina che prediligo è la vera cucina cucinata, intendo quella senza artifizi, quella della tradizione fatta nel migliore dei modi attraverso la conoscenza degli ingredienti, l’esperienza nel loro utilizzo e nelle tecniche di lavorazione per creare piatti irripetibili.
- Quali sono gli ingredienti tipici del territorio che utilizza più spesso nei suoi piatti?
Gli ingredienti buoni.
Direi soprattutto i prodotti di origine animale e derivati dal maiale, quindi i tagli poveri, gli insaccati come pancetta e lardo – i norcini pavesi secondo me sono un patrimonio universale – gli animali da cortile e la selvaggina ma anche i pesci d’acqua dolce.
E poi il riso, un prodotto artigianale imprescindibile nella cucina italiana che sa assumere forme e sapori diversi in ogni zona del nostro Paese.
- Com’è stata l’esperienza in giuria de Il Palio dell’Agnolotto e qual è il valore aggiunto di questo concorso?
È stata un’esperienza meravigliosa, come sempre accade nelle manifestazioni che puntano a valorizzare la cultura e la tradizione italiana.
L’evoluzione parte dalla cultura e la cultura italiana si basa su pilastri come la cucina.
Eventi come Il Palio dell’Agnolotto danno un senso alla tradizione gastronomica italiana, uno dei patrimoni del nostro Paese da salvare.
- Crede che il Palio possa essere occasione per iniziare un percorso coeso tra le varie realtà dell’Oltrepò? Crede che ce ne sia bisogno?
Assolutamente si, non dobbiamo perdere queste grandi opportunità che rappresentano bacini di conoscenza che si costruiscono nel tempo e sono legati alla tradizione.
A mio parere il nuovo non è altro che tornare all’antico, non per rinnegare l’evoluzione ma per far riscoprire i prodotti e le lavorazioni artigianali.
Pensiamo ai giovani e alle nuove generazioni che non hanno mai provato i veri agnolotti, o testato la differenza fra una mano e l’altra: sono differenze bellissime che in eventi come questo possiamo valorizzare.
- Cosa si aspetta dalla nuova edizione?
Mi aspetto di trovare le emozioni che ho provato nel 2018.
La competizione è il punto di partenza ma l’obiettivo più che vincere è portare il proprio apporto e conoscenza, avendo la possibilità di attingere qualcosa dagli altri.
Anche noi cuochi e giurati abbiamo molto da apprendere dagli sfidanti, la gara è un momento di accrescimento culturale che va al di là della questione tecnica.
Quando torniamo nelle nostre cucine ci portiamo qualcosa di positivo di quello ce abbiamo visto fare, una sintesi di decenni di ricette non codificate che si differenziano in base alla tradizione locale e al legame con il territorio che, semplicemente spostandosi da una collina all’altra, regala prodotti e spunti diversi.